John B. Watson
È in questa linea che si sviluppò il comportamentismo, o behaviorismo, una corrente psicologica che ebbe lunga diffusione negli Stati Uniti. I comportamentisti infatti prendono in considerazione soltanto gli aspetti osservabili della psiche, vale a dire i comportamenti e trascurano gli aspetti introspettivi che sfuggono all’osservatore e che non possono essere riprodotti e valutati obiettivamente. […] John B. Watson – il più convinto sostenitore della nuova prospettiva di studio – era certo che l’individuo fosse, nella sua totalità, il prodotto dei condizionamenti ambientali e attribuiva così poca importanza ai tratti originari individuali da affermare che egli avrebbe potuto orientare le scelte, gli interessi, le opinioni di chiunque nella direzione da lui voluta, purché gli fosse data facoltà di addestrarlo fin dalla prima infanzia.
Il successo di Watson come pubblicitario
Il primo psicologo a prestare le sue conoscenze alla pubblicità fu per l’appunto John Watson, che ebbe alcune intuizioni originali. Egli si inventò, per esempio, la cosiddetta «pausa caffè», inesistente fino ad allora nel mondo lavorativo statunitense, per aumentare le vendite della ditta Maxwell House Caffee. Fu anche il primo a promuovere la diffusione di questionari in cambio di una piccola ricompensa ai partecipanti ai test e il primo a varare campagne pubblicitarie basate sull’uso dell’immagine. In una di queste, a favore della multinazionale Scott Paper Company, c’era la fotografia di un’équipe di chirurghi al lavoro con la leggenda «i problemi iniziarono con carta igienica ruvida»; l’uso della carta igienica Scott, morbida appunto, avrebbe invece evitato problemi di emorroidi. Lo psicologo americano fu anche il primo a promuovere una campagna pubblicitaria per indurre le donne al fumo. Utilizzando immagini di donne affascinanti e star di Hollywood, Watson riuscì a convincere le donne, che un tempo non fumavano, che una sigaretta in bocca o tra le mani aveva una valenza erotica e avrebbe aumentato il loro fascino e le loro potenzialità seduttive.
La culla di Skinner
Burrhus F. Skinner (1904 – 1990), uno dei principali esponenti del comportamentismo, e sicuramente il più noto psicologo di questa scuola che dominò la psicologia nordamericana per molti decenni del ’900, fu un grande costruttore di congegni meccanici e apparecchi. Da bambino costruiva aeroplani, treni, case e castelli utilizzando i materiali più disparati che trovava in giro per casa, poi passò ai velieri e infine agli strumenti per le sue ricerche sul condizionamento operante. L’apparato tipico degli esperimenti skinneriani consisteva in una specie di scatola o gabbia (che prese il nome di Skinner box) in cui veniva posto un animale (normalmente ratti o piccioni). Il processo di apprendimento (ad esempio, dopo un certo numero di prove, un ratto apprendeva che premendo una levetta avrebbe ricevuto una pallina di cibo come rinforzo) era seguito attraverso un rullo di carta su cui venivano registrate automaticamente le risposte dell’animale. Quando nacque la seconda figlia, Deborah, nel 1944, Skinner, d’accordo con la moglie Yvonne, pensò di realizzare una speciale culla dove far crescere la bambina. “La culla di Skinner” (Skinner crib), come venne chiamata in analogia con la gabbia sperimentale, fu presentata nel 1945 su ladies’ Home Journal, la rivista femminile più diffusa nell’America di quegli anni (l’articolo s’intitolava Baby in a box; trad. it. «la bambina in gabbia», in B. F. Skinner, Studi e ricerche, Giunti-Barbèra, 1976). La culla skinneriana era una specie di cabina con una sola apertura sul lato di fronte: una sorta di finestra con un vetro di sicurezza, attraverso il quale il bambino era in grado di guardare il mondo circostante, e con una tendina che all’occorrenza veniva abbassata per rendere buio l’ambiente interno. Il bambino poteva essere lasciato anche nudo (unica eccezione il pannolino) perché la culla era mantenuta calda da un sistema di riscaldamento regolabile. L’aria penetrava dall’esterno dopo essere stata filtrata. Il vantaggio di questa culla era, secondo Skinner, che il bambino stava in un luogo sicuro, riscaldato, mentre mamma poteva dedicarsi alle faccende domestiche. Fu detto, ma senza alcun fondamento, che Skinner avrebbe condotto esperimenti su Deborah nella culla, allo stesso modo in cui li faceva con i ratti nell’apposita gabbia. Skinner, a quell’epoca, non poteva ancora conoscere gli studi degli Harlow ne quelli di Bowlby sull’attaccamento. Comunque, questa culla non ebbe una grande diffusione. Si stima che solo trecento bambini siano cresciuti nella culla skinneriana, dopo che essa fu prodotta in serie da una ditta di Cleveland. I genitori americani preferirono infatti continuare a far crescere i propri bambini nelle culle tradizionali, in mezzo a qualche cuscino, su un tappeto posto sul pavimento di casa o sul prato del giardino, facendo loro respirare l’aria dell’ambiente, inquinata o no, come era sempre stato da millenni per bambini di tutto il mondo.