Le origini della sociologia
Si incomincia a parlare di sociologia nella cultura europea intorno alla metà del XIX secolo. Come mai, proprio in quel periodo, nasce l’esigenza di una disciplina scientifica che studi in modo sistematico i fatti sociali, una scienza della società? La risposta a questa domanda fa riferimento a tre rivoluzioni che sono alla base del mondo moderno: l’avvento della società moderna, la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese.
La rivoluzione scientifica. La sociologia segue l’esempio di tutte le scienze moderne che, a partire dalle scienze della natura, si sono staccate dal corpo del pensiero filosofico e hanno così acquistato una loro autonomia. L’applicazione del metodo sperimentale, fondato sull’osservazione empirica, ad ambiti di indagine sempre più vasti, il succedersi di scoperte capaci di gettare nuova luce sui segreti della natura, i fenomeni cioè che possiamo indicare come «rivoluzione scientifica» non potevano lasciare indifferenti coloro che si ponevano interrogativi relativi agli esseri umani, ai loro rapporti e alle loro istituzioni. È verso la fine del XVIII secolo che incomincia a diffondersi la fiducia nella possibilità di estendere allo studio dell’uomo, della società e della cultura gli stessi principi del metodo scientifico che stavano dando tanto lusinghieri risultati nello studio dei fenomeni naturali. La nascita delle scienze sociali è quindi da inserire in un più ampio movimento culturale che conduce all’affermazione della scienza tout court come via maestra alla conoscenza e al dominio del mondo.
La rivoluzione industriale. In secondo luogo, le scienze sociali sono un prodotto della rivoluzione industriale. Tra le scienze sociali, la prima ad acquisire un proprio statuto autonomo dalla filosofia fu l’economia politica. Non a caso, Adam Smith e gli altri economisti classici possono essere considerati, oltre che fondatori dell’economia politica, per un certo verso anche sociologi ante litteram: essi riflettono infatti sulle trasformazioni sociali che stavano avvenendo sotto i loro occhi nell’Inghilterra del XVIII secolo (la nascita della manifattura capitalista e le anticipazioni di quella che verrà chiamata «rivoluzione industriale») e cercano di interpretarle alla luce di un modello capace di cogliere le interdipendenze tra i vari gruppi sociali coinvolti nel processo economico. Alle categorie economiche della terra, del capitale e del lavoro corrispondono infatti i gruppi o classi sociali dei proprietari terrieri, degli imprenditori capitalisti e dei lavoratori salariati, i quali percepiscono rispettivamente rendita, profitto e salario. Questi gruppi sono legati tra loro essenzialmente da rapporti di scambio; il mercato è l’elemento connettivo della società: una mano invisibile – questa è l’espressione impiegata da Smith – che opera al di là delle intenzioni dei singoli per realizzare il benessere di tutti. La sociologia nasce da un atteggiamento ambivalente nei confronti del tipo di società che si sta delineando. Se infatti da un lato le rivoluzioni politiche e la rivoluzione industriale venivano viste come tappe decisive sulla strada dell’emancipazione e del progresso, dall’altro lato erano presenti anche numerose opinioni contrastanti. Vi era anche chi vedeva nelle trasformazioni in atto la tumultuosa irruzione di interessi senza freno che minacciavano di travolgere l’ordine sociale, politico e morale sul quale si era fino ad allora fondata la vita sociale. In particolare, apparivano minacciati i rapporti gerarchici della tradizione, nei quali il dominio era temperato dalla solidarietà. A ciò si aggiungevano lo sradicamento di intere masse di popolazione dai loro luoghi di origine, abitudini di vita e reti di relazione, l’indebolimento dei legami tra le generazioni, il venir meno dei rapporti di fiducia fondati sulla conoscenza personale, la simpatia e il comune sentire. L’avvento della società industriale, nella quale dominano rapporti impersonali di scambio, era quindi interpretato come dissolutore dei legami sociali autentici, come sostituzione di ciò che è naturale e organico con ciò che è artificiale e meccanico.
La rivoluzione francese. La terza «rivoluzione» che ha creato un contesto favorevole alla nascita di una scienza della società è senza dubbio la rivoluzione francese e tutto quanto essa simbolicamente rappresenta nella storia dell’Europa dell’Occidente. Infatti, fino a quando la società era retta da un ordine gerarchico che trovava il proprio fondamento nella tradizione, ovvero in una qualche istanza superiore di natura religiosa che la legittimava e la sanzionava, non si avvertiva l’esigenza di una vera e propria scienza della società. [...] La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, un documento al quale si rifanno – più o meno direttamente – quasi tutte le costituzioni dei moderni stati democratici, riveste quindi un’importanza simbolica cruciale nelle genesi del mondo moderno.
La sociologia è quindi figlia del mutamento; la società emerge come oggetto di studio quando i suoi fondamenti sono messi in discussione, quando i suoi ordinamenti non appaiono più stabili, quando i suoi assetti non possono più essere dati per scontati, quando cambiano i rapporti tra i gruppi sociali e individuali, quando diventano mobili i punti di riferimento e i criteri che guidano i comportamenti.
La rivoluzione scientifica. La sociologia segue l’esempio di tutte le scienze moderne che, a partire dalle scienze della natura, si sono staccate dal corpo del pensiero filosofico e hanno così acquistato una loro autonomia. L’applicazione del metodo sperimentale, fondato sull’osservazione empirica, ad ambiti di indagine sempre più vasti, il succedersi di scoperte capaci di gettare nuova luce sui segreti della natura, i fenomeni cioè che possiamo indicare come «rivoluzione scientifica» non potevano lasciare indifferenti coloro che si ponevano interrogativi relativi agli esseri umani, ai loro rapporti e alle loro istituzioni. È verso la fine del XVIII secolo che incomincia a diffondersi la fiducia nella possibilità di estendere allo studio dell’uomo, della società e della cultura gli stessi principi del metodo scientifico che stavano dando tanto lusinghieri risultati nello studio dei fenomeni naturali. La nascita delle scienze sociali è quindi da inserire in un più ampio movimento culturale che conduce all’affermazione della scienza tout court come via maestra alla conoscenza e al dominio del mondo.
La rivoluzione industriale. In secondo luogo, le scienze sociali sono un prodotto della rivoluzione industriale. Tra le scienze sociali, la prima ad acquisire un proprio statuto autonomo dalla filosofia fu l’economia politica. Non a caso, Adam Smith e gli altri economisti classici possono essere considerati, oltre che fondatori dell’economia politica, per un certo verso anche sociologi ante litteram: essi riflettono infatti sulle trasformazioni sociali che stavano avvenendo sotto i loro occhi nell’Inghilterra del XVIII secolo (la nascita della manifattura capitalista e le anticipazioni di quella che verrà chiamata «rivoluzione industriale») e cercano di interpretarle alla luce di un modello capace di cogliere le interdipendenze tra i vari gruppi sociali coinvolti nel processo economico. Alle categorie economiche della terra, del capitale e del lavoro corrispondono infatti i gruppi o classi sociali dei proprietari terrieri, degli imprenditori capitalisti e dei lavoratori salariati, i quali percepiscono rispettivamente rendita, profitto e salario. Questi gruppi sono legati tra loro essenzialmente da rapporti di scambio; il mercato è l’elemento connettivo della società: una mano invisibile – questa è l’espressione impiegata da Smith – che opera al di là delle intenzioni dei singoli per realizzare il benessere di tutti. La sociologia nasce da un atteggiamento ambivalente nei confronti del tipo di società che si sta delineando. Se infatti da un lato le rivoluzioni politiche e la rivoluzione industriale venivano viste come tappe decisive sulla strada dell’emancipazione e del progresso, dall’altro lato erano presenti anche numerose opinioni contrastanti. Vi era anche chi vedeva nelle trasformazioni in atto la tumultuosa irruzione di interessi senza freno che minacciavano di travolgere l’ordine sociale, politico e morale sul quale si era fino ad allora fondata la vita sociale. In particolare, apparivano minacciati i rapporti gerarchici della tradizione, nei quali il dominio era temperato dalla solidarietà. A ciò si aggiungevano lo sradicamento di intere masse di popolazione dai loro luoghi di origine, abitudini di vita e reti di relazione, l’indebolimento dei legami tra le generazioni, il venir meno dei rapporti di fiducia fondati sulla conoscenza personale, la simpatia e il comune sentire. L’avvento della società industriale, nella quale dominano rapporti impersonali di scambio, era quindi interpretato come dissolutore dei legami sociali autentici, come sostituzione di ciò che è naturale e organico con ciò che è artificiale e meccanico.
La rivoluzione francese. La terza «rivoluzione» che ha creato un contesto favorevole alla nascita di una scienza della società è senza dubbio la rivoluzione francese e tutto quanto essa simbolicamente rappresenta nella storia dell’Europa dell’Occidente. Infatti, fino a quando la società era retta da un ordine gerarchico che trovava il proprio fondamento nella tradizione, ovvero in una qualche istanza superiore di natura religiosa che la legittimava e la sanzionava, non si avvertiva l’esigenza di una vera e propria scienza della società. [...] La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, un documento al quale si rifanno – più o meno direttamente – quasi tutte le costituzioni dei moderni stati democratici, riveste quindi un’importanza simbolica cruciale nelle genesi del mondo moderno.
La sociologia è quindi figlia del mutamento; la società emerge come oggetto di studio quando i suoi fondamenti sono messi in discussione, quando i suoi ordinamenti non appaiono più stabili, quando i suoi assetti non possono più essere dati per scontati, quando cambiano i rapporti tra i gruppi sociali e individuali, quando diventano mobili i punti di riferimento e i criteri che guidano i comportamenti.
I teorici classici della sociologia
Comte, Durkheim, Spencer
Marx, Weber, Pareto
I modelli teorici contemporanei
La Scuola di Chicago
William Thomas, Robert E. Park, Robert e Helen Lynd
La Teoria funzionalista e quella strutturalista
Il Funzionalismo di Talcott Parsons, lo strutturalismo di Louise Althusser e di Michel Foucault
La Scuola di Francoforte
Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Herbert Marcuse
L'interazionismo simbolico e la sociologia fenomenologica
L'interazionismo di Georg Herbert Mead e la sociologia fenomenologica di Alfred Schutz e Erving Goffman
Le teorie dell'azione sociale
Alian Touraine, Anthony Giddens, Jurgen Habermas